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Da una parte la rivalutazione meno generosa di quanto sembrasse certo a inizio autunno. Dall’altra l’aumento delle pensioni minime che, probabilmente, sarà rimandato a un momento successivo della legislatura, senza certezze. Cosa succederà dal 1 gennaio 2023dibattito. Da una parte la rivalutazione meno generosa di quanto sembrasse certo a inizio autunno. Dall’altra l’aumento delle pensioni minime che, probabilmente, sarà rimandato a un momento successivo della legislatura, senza certezze. Non si passerà subito da 574 a 600 euro, a quanto pare. Partiamo proprio dall’aumento delle pensioni «più povere». I margini per modificare la legge di bilancio sono stretti e nel centrodestra la tensione è palpabile. La polemica sulle pensioni minime è aspra. Il sottosegretario al Lavoro della Lega Claudio Durigon sostiene che adesso gli assegni non si possano alzare: «Non subito, lo faremo durante la legislatura». Invece Forza Italia non ci sta, insiste e vuole portarle dai circa 570 a 600 euro. La mediazione proposta potrebbe premiare solo alcune categorie di over 70, ma l’applicazione sarebbe complicata e contestabile da più parti. Il vicepresidente della Camera e deputato di Forza Italia, Giorgio Mulè, è fiducioso: «Arriveremo a 600 euro al mese come chiede Berlusconi». Ma quando?
Forza Italia spingerà fino all’ultimo per l’aumento già da gennaio 2023. «Non si può dire una cosa nella riunione di maggioranza e poi un’altra fuori», protestano dal partito di Silvio Berlusconi, secondo cui nel vertice di due giorni fa a Palazzo Chigi sulla manovra ci sarebbe stata un’apertura a un piccolo incremento, con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che avrebbe spiegato la necessità di calcolare l’entità e l’età di partenza, dai 75 o dagli 80 anni. Il problema è di risorse e le tensioni sulle pensioni rischiano di influenzare i primi passi della manovra alla Camera, dove nei prossimi giorni si sfoltiranno gli oltre tremila emendamenti.E poi c’è chi sorride un po’ meno. Fino a 5 volte il minimo si recupera infatti solo l’80%, che vale un aumento degli assegni del 5,84% e sino a sei volte il minimo si ottiene il 55%, ovvero il 4,01% in più. Oltre questa fascia, il taglio si fa più pesante: con gli assegni che arrivano a 4.192 euro l’aumento sarà dimezzato , dai 4.193 a 5.240 si otterrà il 2,92% in più , mentre sopra quota 5.240 euro il recupero si fermerà al 35% ed assicurerà un aumento del 2,55%. La rivalutazione fino a oggi è basata su tre soglie: 100% di indicizzazioine sino a 4 volte l’assegno minimo, 90% per la fascia compresa tra 4 e 5 volte e 75% per tutti i trattamenti superiore a 5 volte il minimo. Il prossimo anno si torna alle «fasce di Letta» abbandonando i più favorevoli «scaglioni di Prodi», che erano stati ripristinati dal governo Draghi.
In pratica il sistema di calcolo non è progressivo, non è per scaglioni, come con l’Irpef , ma a fascia, dunque un’aliquota unica applicata a tutto l’importo. In pratica una pensione da 5 mila euro lordi sarà rivalutata del 2,6% anziché del 7,3%, recuperando poco più di un terzo dell’inflazione: 130 euro lordi al mese anziché 318 euro, 1.690 euro nel 2023 al posto di 4.134: non spiccioli, è quasi il 60% in meno. La nuova formula permette al governo Meloni di risparmiare alcuni miliardi dai 23 miliardi di euro originariamente previsti per questa operazione sul bilancio del 2023.